venerdì 30 settembre 2016

CAOS-scrap

Ecco la mia scrivania dopo una pagina di scrap...

Non scrappo più come un tempo, nel senso che le pagine sono sempre di meno e moooolto rarefatte nel tempo. Del resto, come avevo scritto anche qualche tempo fa, prima della lunga pausa di questo blog, la mia principale fonte di ispirazione si è un po' esaurita: Puzzola, il ragazzino che compare in quasi tutte le mie pagine, e la cui vita - la scuola, l'atletica, i giocattoli, le parole buffe, le feste di compleanno, le gite scolastiche, i regali di Natale etc etc etc - è ormai un ragazzone diciassettenne alto un metro e ottantaquattro, a cui non si addice proprio più il nome di "Puzzola" e che non ha più nessuna voglia di farsi fotografare, come è giusto e naturale che sia, considerata la  ruvidezza dell'adolescenza, la ritrosia del soggetto e anche l'enorme quantità di foto che si è beccato negli anni della sua infanzia .... Così, le me pagine ora non raccontano quasi più di lui (anche se ho da parte qualche foto che prima o poi troverò il modo di infilare in una pagina) ma, in prevalenza, di me. E il soggetto è decisamente molto meno interessante, e di sicuro meno divertente da raccontare....
 Comunque sia, quando scrappo...scrappo, e questo è il bel risultato!

 La cassetta di legno è stata recuperata da un fruttivendolo, priva di una stecca sul fondo, ma pazienza.... L'ho ripulita, oliata e usata come mini scaffale...
...infine la bambolina dai capelli rossi, ricordo dei tempi della Gugliata Screanzata...

lunedì 26 settembre 2016

Harry Potter e la maledizione dell'erede - Perchè dico NO


Quel giorno di dicembre del 2001 avevo la febbre. Non tanta da stare malissimo ma abbastanza da costringermi a stare a casa e a non andare al lavoro. Avevo anche un solenne giramento dei cosiddetti, perchè con l'influenza ed il bimbo piccino che quell'inverno era malato un giorno sì e quello dopo pure,  preferii farlo stare a casa dalla nonna ed evitargli il rischio di una nuova malattia.  Ma averlo lontano mi infastidiva, mi incupiva e rendeva il mio umore se possibile ancora peggiore. Dopo qualche ora dal mio risveglio febbricitante e un paio di aspirine, presi per la prima volta in mano un librino ordinato a IBS ed arrivato qualche giorno prima. Un librino di quasi 300 pagine, in parte illustrato, dalla copertina nei toni dell'azzurro e del verde e con l'immagine di un bambino con un enorme paio di occhiali e un improbabile cappello a punta.
Iniziai a leggere poco prima dell'ora di pranzo.
Mi fermai solo sette anni e sei volumi dopo.
Era il primo Harry Potter che leggevo, e avevo 34 anni.
Ne parlai qualche settimana dopo a Finaz, il fratello di mio marito, musicista frichettone e uomo di solida cultura umanistica ed altrettanto solida formazione filosofica, che prese il mio "sai, ho appena letto un libro che parla di un maghetto che frequenta una scuola per maghi in erba e fa incantesimi, ed ha una bacchetta  magica e tanti amici maghi come lui" con educato distacco e palese scetticismo, ossia con la faccia di quello che pensa che sua cognata sia ormai del tutto fumata. Salvo richiamarmi qualche settimana dopo per dirmi che, lui, nel frattempo aveva letto anche la "Camera dei segreti", "Il prigioniero di Azkaban" e "Il calice di fuoco", e che, no, non credeva proprio di farcela ad aspettare chissà quanto, forse anni, prima che quella benedetta donna della Rowling scrivesse e pubblicasse un altro libro, il quinto libro della serie, e che quella lettura lo aveva completamente frastornato e messo di fronte all'inaccettabile ed inebriante consapevolezza che anche i filosofi come lui possono leggere libri per ragazzi - all'epoca a noi tali sembravano - che parlano di maghetti occhialuti. Anche lui, come me, non era un ragazzino, ma un adulto trentaduenne.
Già questo basterebbe a rendere la misura di cosa sia per me HP, e di quanto la saga inventata dalla R., una perfetta, equilibrata, compatta e coerente costruzione di un mondo fantastico e del tutto verosimile, abbia lavorato dentro di me, conquistandosi un posto speciale. Che detto così sembra davvero esagerato, ma a pensarci bene neanche poi tanto... Amo Harry Potter per tanti motivi. Perchè, come ho già detto, mi stupisce ogni volta la capacità con la quale la Rowling  ha inventato questo mondo parallelo e distante dalla realtà, in cui esistono la play station e la nimbus 2000, le pistole dei babbani e le bacchette magiche dei maghi, i primi ministri di Gran Bretagna e il Ministro della Magia. Senza sbavature, in modo del tutto logico e coerente ma sempre incredibilmente fuori dalla realtà, fuori cioè dalla realtà babbana e dentro, sempre dentro, la realtà "altra", quella magica. Per la potenza dei personaggi, per la loro bellezza, per la loro malvagità, per la loro generosità ed il loro coraggio. Coraggiosi come Harry, intelligenti come Hermione, irrevocabilmente malvagi e folli come Voldemort. Straordinari, come Silente , il personaggio che più di altri ho amato, arguto, saggio, profondamente giusto, ma con quel filo di opacità che lo rende autenticamente umano, e forse anche un po' vulnerabile. Coraggiosi oltre ogni limite come Piton, capace di farsi carico di una pessima reputazione del tutto immeritata in nome di un amore mai dimenticato. Per i messaggi che percorrono il tessuto di tutta l'opera, come l'ordito di un tessuto prezioso: l'amicizia, la lealtà, la forza del gruppo, l'unicità dell'individuo e la sua personale responsabilità, verso gli altri e verso sé stessi. La necessità di scegliere da che parte stare, e di fare ciò che è giusto, non ciò che è semplicemente facile. E il primato delle scelte sull' ineluttabilità del destino, con buona pace della predestinazione e di tutto ciò che gli ruota intorno. E la  tolleranza, il rispetto per la diversità, contro ogni tentativo di emarginare, di discriminare, di sopprimere in nome di una presunta superiorità di qualcuno su tutti gli altri. E poi pagine e pagine di una scrittura chiara, limpida, avvincente. Pagine piene di sorrisi, di trovate geniali. Pagine con un ritmo da farti venire il fiato grosso, o intrise di una tristezza, di un rimpianto, di un dolore che prendono allo stomaco e fai fatica a ricacciare indietro le lacrime. Pagine che alla fine finiscono e ne vorresti molte, molte di più, mai sai che non ce ne saranno e che è giusto così, perché la saga è durata anche troppo, e non c'è più niente da dire, e le parole finiscono esattamente nel momento in cui devono finire, risucchiando nel rettangolo della pagina la forza, le impressioni suscitate, l'energia che quest'opera ha liberato e sempre libera, ad ogni nuova, l'ennesima, rilettura.
E mettendoci un punto, senza un a capo. Perché l'a capo sarebbe una forzatura, l'inutile annacquarsi di un liquido che ha sapore e profumo esattamente così com'è, e di più sarebbe troppo, sarebbe male. Sarebbe sbagliato. Per questo penso che non leggerò questo nuovo testo, che non riesco neanche a chiamare come viene per lo più chiamato, l'ottavo capitolo della saga di Harry Potter. La saga si è chiusa, per me, con la morte di Silente e quella di Voldemort, con Harry che spezza la bacchetta di sambuco e seppellisce i morti della battaglia di Hogwart. La saga è finita, o meglio si è chiusa, nella sua compatta ed inalterabile bellezza con i "Doni della Morte". E non ci sono bambini maledetti che possano aggiungere neanche un grammo in più alla potenza di una storia che merita ed ha un posto speciale dentro di me, nell'ampia ed affollata stanza dedicata alle letture memorabili.


versione in latino....e poi ditemi se non sono fissata....

sabato 24 settembre 2016

Una pagina su di me










Pagina con due foto recenti, qualche ritaglio di carta, un nastrino rosa e un paio di stelline sbrillucicanti!

giovedì 22 settembre 2016

LIBRI DA LEGGERE, ovvero: "Ecco il prossimo!"

 
Ecco i libri appena comprati che leggerò prossimamente!
 
"DIECI DONNE"  - Marcela Serrano e "DUE BIGLIETTI PER LA FELICITA'" - Caroline Vermalle 
Venduti insieme a 9,90, occasione imperdibile per una tossicomane del libro come me.
 Di Serrano ho letto "L' albergo delle donne tristi” e il “Tempo di Blanca”; il primo non mi piacque per niente, il secondo moltissimo. Questo “Dieci donne” è la storia di nove donne (e la loro terapeuta) che, radunate nello studio dell’analista, raccontano ognuna la propria storia, il proprio disagio ed il motivo del loro ricorso all’analisi
 

 

“Due biglietti per la felicità” è un acquisto per le giornate di pioggia, in senso simbolico o anche no, quando hai bisogno di qualcosa che migliori un po’ il tuo umore e non vuoi ricorrere alla Nutella. Oppure per oziosi giorni di vacanza, quando ti sembrano leggibili anche gli ingredienti sulle scatole dei biscotti….
 
Considerato il capolavoro di Malamud, è la storia di un commerciante ebreo sull’orlo del fallimento che accetta la collaborazione di un giovane italo-americano, il commesso per l’appunto. Prefazione di Marco Missiroli
 
 
Scritto da uno scrittore più che in erba (classe 1997, due anni più di mio figlio!!!!!), ne dicono bene in molti. Storia di disabilità, trattata con garbo e tenerezza, si dice tale fin dalla copertina, dove il giovanissimo autore chiarisce che Giovanni ha un cromosoma in più...
Vi farò sapere.... 

martedì 20 settembre 2016

Una pagina, finalmente....

ecco una pagina di scrap, dopo tanto, tanto, tanto, tanto tempo....








 La foto è di qualche mese fa, del mese di aprile per la precisione, di quando cioè i prati erano pieni delle prime margheritine....

lunedì 19 settembre 2016

22/11/1963 - recensione......

 
Non avevo mai letto niente di SK prima di questo 22/11/63. Anzi, ora che ci penso, avevo letto solo “La zona morta” tanti, tanti, tanti anni fa, al liceo, per la precisione. Ricordo che mi colpì e mi emozionò, ma all’epoca ero una ragazzina fanatica di libri che si entusiasmava per ogni nuova lettura (per inciso, ora sono una signora di mezz’età, fanatica di libri, che spesso si entusiasma per alcune, nuove letture….). A parte quindi questo vecchissimo incontro con il maestro del thriller, risalente ai tempi della mia adolescenza, il romanzo appena letto è praticamente il primo di SK.
Dico subito che mi è piaciuto. Per diversi motivi che poi vi dirò, ma per il momento dico solo che mi è piaciuto, e che l’ho letto in poco più di una settimana, nonostante si tratti di un volume di oltre 700 pagine.

 
La storia ha per protagonista Jake Hepping, un professore di inglese di Lisbon Falls, USA, da poco divorziato, che frequenta nell’ora di pranzo la tavola calda di Al Templeton. Un locale che, dietro l’apparenza di un posto normale dove consumare un pranzo veloce, nasconde un segreto. Un segreto di quelli grossi, a dire il vero, perché all’interno della dispensa, una stanza buia profumata di spezie e di caffè, si trova quella che Al definisce “la buca del coniglio” ma che altro non è che un varco temporale. Un varco attraversato il quale ci si ritrova nel piazzale appena dietro il locale stesso, ma non più nel 2011, anno in cui si svolge la storia, ma nel 1958, e più precisamente il 9 settembre del 1958.

Al è malato e consapevole che il tempo che gli rimane non gli sarà sufficiente per compiere ciò che aveva in animo di fare. Chiede quindi a Jake di farlo al posto suo, e si tratta di un’impresa non da poco: si tratta infatti di fermare Lee Harvey Oswald, impedirgli di uccidere il presidente Kennedy a Dallas, il 23 Novembre del 1963.

Il viaggio nel tempo ha solo alcune, immodificabili regole: c’è sempre la possibilità di un ritorno al futuro, ma ad ogni rientro nell’oggi il passato torna ad essere quello di prima, cancellando gli eventi modificati ogni volta; e qualunque sia il tempo trascorso nel passato, siano giorni oppure anni, al ritorno nel futuro saranno sempre passati solo due minuti.

Jake accetta di fare ciò che Al gli chiede, accetta di ritornare indietro nel tempo con il preciso scopo di salvare il Presidente, e si ritrova così a vivere in un mondo senza cellulari, senza internet, in cui le persone fumano ovunque senza che vi sia alcun divieto, in cui si ignora cosa sia il “politicamente corretto” e si chiamano “negri” le persone di colore, in cui un hamburger, un’auto, l’affitto di un appartamento, un pieno di benzina costano infinitamente meno che al tempo attuale.

Inizia in questo modo la nuova vita di Jake, e la sua avventura nel 1958. Un’ avventura che si dipana per ben 700 pagine, in modo coerente, assurdamente logico nonostante la storia sia un perfetto impasto di ordinario e di soprannaturale, complessivamente avvincente nonostante qualche flessione del ritmo e un centinaio di pagine di troppo.



Mi è piaciuta la figura di Jake e la sua disponibilità ad imbarcarsi in un’impresa chiaramente al di fuori dei confini della normalità, convinto di poter cambiare la storia impedendo un evento drammatico e sconvolgente come l’assassinio di Dallas. Mi è piaciuta l’attenta ricostruzione di un’epoca, che King realizza, a mio modo di vedere, in modo accurato e convincente, senza apparenti (almeno per me) sbavature. Mi è piaciuto il modo in cui viene dipinto l’assassino del Presidente, LHO, un personaggio controverso, dogmatico, irrisolto, dipinto per quello che forse davvero era, ossia una figura minore, un uomo banale e senza storia che la Storia però è riuscito a cambiare per sempre. Mi sono piaciuti in particolare, alcuni spunti di riflessione che King butta lì, non approfondisce, ma mette sotto gli occhi del lettore in modo che non possa non accorgersene.
Temi universali, direi, sui quali chiunque prima o poi in qualche modo si interroga.
E cioè: sarebbe sempre utile e giusto cambiare il passato, eliminarne gli errori e le atrocità, le cose sbagliate e gli eventi più nefasti, certi che ciò migliorerà sempre il corso degli eventi successivi?
Può davvero un uomo solo cambiare la storia? È possibile davvero che la storia, quel faticoso e ritmato susseguirsi di eventi non più modificabili, sia il frutto dell’opera, del lavoro, della sconsideratezza o del buon senso di un singolo, di una persona isolata, animata da buoni propositi (come Jake) o da un piano criminale (come LHO)?


 
E poi. Esiste una logica, c’è un piano, un disegno di fondo che segna il percorso degli eventi, oppure tutto accade per caso, e la storia altro non è se non una sequenza di fatti derivanti in logica successione da un evento accaduto in modo del tutto casuale? Ognuno ha la sua risposta. Io credo di averla trovata in quello che King scrive nella postfazione a proposito dell’altro, grande tema, questa volta meno universale e più storico, ancora irrisolto rispetto alla vicenda di Kennedy, ossia se l’assassinio del Presidente sia stato il gesto criminale di un folle isolato o il frutto di una cospirazione. King dice di non credere alla tesi del complotto, si dice cioè convinto che Kennedy, amato quanto odiato, la cui morte non dispiacque affatto a molti nell’America del tempo, sia stato ucciso da un omicida che agì da solo e che non era la “mano armata” di un gruppo di cospiratori variamente assortito (la mafia, la CIA; i produttori di armi, gli esuli cubani anti Castro etc.) E si rammarica che LHO sia stato a sua volta ucciso, perché la sua morte ha impedito di approfondire il suo vero ruolo nella vicenda, di ricevere da lui una confessione o al contrario il proclama della sua innocenza. E nel rammaricarsi di ciò, King ricostruisce l’uccisione di Oswald e la sua fatalità. Jack Ruby, l’uomo che sparò ad Oswald, non doveva essere lì, alla stazione di polizia di Dallas in cui si trovava Oswald in attesa del suo trasferimento altrove, ma ci capitò perché di ritorno da un ufficio postale in cui aveva eseguito un versamento fino al giorno prima non previsto; e Oswald doveva già essere uscito dai locali della stazione di polizia nel momento in cui vi arrivò anche Ruby, ma chiese che gli concedessero di tornare indietro per un attimo, per indossare una maglia sopra la sua camicia che aveva un buco.


 
Un vaglia postale ed un pullover messo all’ultimo minuto sono stati due dettagli, all’apparenza insignificanti, che hanno reso però possibile il verificarsi di un secondo omicidio, quello dell’assassino del Presidente, che ha tolto all’America, al mondo e alla storia la possibilità, forse, di dare una risposta definitiva all’interrogativo di sempre rispetto all’omicidio di JFK.

Ma se così è, se la storia è fatta, alla fine, di incastri immodificabili di eventi del tutto casuali, che ne è dell’idea consolante per cui c’è un disegno dietro ai fatti che accadono agli umani?

Come ho già detto, ognuno di noi ha la propria risposta. Personale, singola, individuale. Come il nostro destino. O la nostra, casuale vita di appartenenti al genere umano….

Insomma, nel complesso un bel libro. Da leggere. Se vi va. 



domenica 18 settembre 2016

Mood Board

Un millennio che non scrivo niente qui, e torno in una piovosa giornata di settembre  per riempire questa pagina bianca di un po' di colore. Un po' di azzurro, per la precisione, come il colore del mare, del cielo quando è bello, della serenità.....










Alla prossima, se vi va....