Non avevo mai letto niente di SK
prima di questo 22/11/63. Anzi, ora che ci penso, avevo letto solo “La zona
morta” tanti, tanti, tanti anni fa, al liceo, per la precisione. Ricordo che mi
colpì e mi emozionò, ma all’epoca ero una ragazzina fanatica di libri che si
entusiasmava per ogni nuova lettura (per inciso, ora sono una signora di
mezz’età, fanatica di libri, che spesso si entusiasma per alcune, nuove
letture….). A parte quindi questo vecchissimo incontro con il maestro del
thriller, risalente ai tempi della mia adolescenza, il romanzo appena letto è
praticamente il primo di SK.
Dico subito che mi è piaciuto. Per
diversi motivi che poi vi dirò, ma per il momento dico solo che mi è piaciuto,
e che l’ho letto in poco più di una settimana, nonostante si tratti di un
volume di oltre 700 pagine.
La storia ha per protagonista
Jake Hepping, un professore di inglese di Lisbon Falls, USA, da poco
divorziato, che frequenta nell’ora di pranzo la tavola calda di Al Templeton.
Un locale che, dietro l’apparenza di un posto normale dove consumare un pranzo
veloce, nasconde un segreto. Un segreto di quelli grossi, a dire il vero,
perché all’interno della dispensa, una stanza buia profumata di spezie e di
caffè, si trova quella che Al definisce “la buca del coniglio” ma che altro non
è che un varco temporale. Un varco attraversato il quale ci si ritrova nel
piazzale appena dietro il locale stesso, ma non più nel 2011, anno in cui si
svolge la storia, ma nel 1958, e più precisamente il 9 settembre del 1958.
Al è malato e consapevole che il
tempo che gli rimane non gli sarà sufficiente per compiere ciò che aveva in
animo di fare. Chiede quindi a Jake di farlo al posto suo, e si tratta di
un’impresa non da poco: si tratta infatti di fermare Lee Harvey Oswald,
impedirgli di uccidere il presidente Kennedy a Dallas, il 23 Novembre del 1963.
Il viaggio nel tempo ha solo
alcune, immodificabili regole: c’è sempre la possibilità di un ritorno al
futuro, ma ad ogni rientro nell’oggi il passato torna ad essere quello di
prima, cancellando gli eventi modificati ogni volta; e qualunque sia il tempo
trascorso nel passato, siano giorni oppure anni, al ritorno nel futuro saranno
sempre passati solo due minuti.
Jake accetta di fare ciò che Al
gli chiede, accetta di ritornare indietro nel tempo con il preciso scopo di
salvare il Presidente, e si ritrova così a vivere in un mondo senza cellulari,
senza internet, in cui le persone fumano ovunque senza che vi sia alcun divieto,
in cui si ignora cosa sia il “politicamente corretto” e si chiamano “negri” le
persone di colore, in cui un hamburger, un’auto, l’affitto di un appartamento,
un pieno di benzina costano infinitamente meno che al tempo attuale.
Inizia in questo modo la nuova
vita di Jake, e la sua avventura nel 1958. Un’ avventura che si dipana per ben
700 pagine, in modo coerente, assurdamente logico nonostante la storia sia un
perfetto impasto di ordinario e di soprannaturale, complessivamente avvincente
nonostante qualche flessione del ritmo e un centinaio di pagine di troppo.
Mi è piaciuta la figura di Jake e
la sua disponibilità ad imbarcarsi in un’impresa chiaramente al di fuori dei
confini della normalità, convinto di poter cambiare la storia impedendo un
evento drammatico e sconvolgente come l’assassinio di Dallas. Mi è piaciuta l’attenta
ricostruzione di un’epoca, che King realizza, a mio modo di vedere, in modo
accurato e convincente, senza apparenti (almeno per me) sbavature. Mi è
piaciuto il modo in cui viene dipinto l’assassino del Presidente, LHO, un
personaggio controverso, dogmatico, irrisolto, dipinto per quello che forse
davvero era, ossia una figura minore, un uomo banale e senza storia che la Storia
però è riuscito a cambiare per sempre. Mi sono piaciuti in particolare, alcuni
spunti di riflessione che King butta lì, non approfondisce, ma mette sotto gli
occhi del lettore in modo che non possa non accorgersene.
Temi universali, direi, sui quali
chiunque prima o poi in qualche modo si interroga.E cioè: sarebbe sempre utile e giusto cambiare il passato, eliminarne gli errori e le atrocità, le cose sbagliate e gli eventi più nefasti, certi che ciò migliorerà sempre il corso degli eventi successivi?
Può davvero un uomo solo cambiare la storia? È possibile davvero che la storia, quel faticoso e ritmato susseguirsi di eventi non più modificabili, sia il frutto dell’opera, del lavoro, della sconsideratezza o del buon senso di un singolo, di una persona isolata, animata da buoni propositi (come Jake) o da un piano criminale (come LHO)?
E poi. Esiste una logica, c’è un
piano, un disegno di fondo che segna il percorso degli eventi, oppure tutto
accade per caso, e la storia altro non è se non una sequenza di fatti derivanti
in logica successione da un evento accaduto in modo del tutto casuale? Ognuno
ha la sua risposta. Io credo di averla trovata in quello che King scrive nella
postfazione a proposito dell’altro, grande tema, questa volta meno universale e
più storico, ancora irrisolto rispetto alla vicenda di Kennedy, ossia se
l’assassinio del Presidente sia stato il gesto criminale di un folle isolato o
il frutto di una cospirazione. King dice di non credere alla tesi del
complotto, si dice cioè convinto che Kennedy, amato quanto odiato, la cui morte
non dispiacque affatto a molti nell’America del tempo, sia stato ucciso da un
omicida che agì da solo e che non era la “mano armata” di un gruppo di
cospiratori variamente assortito (la mafia, la CIA; i produttori di armi, gli
esuli cubani anti Castro etc.) E si rammarica che LHO sia stato a sua volta
ucciso, perché la sua morte ha impedito di approfondire il suo vero ruolo nella
vicenda, di ricevere da lui una confessione o al contrario il proclama della
sua innocenza. E nel rammaricarsi di ciò, King ricostruisce l’uccisione di
Oswald e la sua fatalità. Jack Ruby, l’uomo che sparò ad Oswald, non doveva essere lì, alla stazione di polizia di Dallas in
cui si trovava Oswald in attesa del suo trasferimento altrove, ma ci capitò
perché di ritorno da un ufficio postale in cui aveva eseguito un versamento
fino al giorno prima non previsto; e Oswald doveva già essere uscito dai locali
della stazione di polizia nel momento in cui vi arrivò anche Ruby, ma chiese
che gli concedessero di tornare indietro per un attimo, per indossare una
maglia sopra la sua camicia che aveva un buco.
Un vaglia postale ed un pullover messo
all’ultimo minuto sono stati due dettagli, all’apparenza insignificanti, che
hanno reso però possibile il verificarsi di un secondo omicidio, quello
dell’assassino del Presidente, che ha tolto all’America, al mondo e alla storia
la possibilità, forse, di dare una risposta definitiva all’interrogativo di
sempre rispetto all’omicidio di JFK.
Ma se così è, se la storia è
fatta, alla fine, di incastri immodificabili di eventi del tutto casuali, che
ne è dell’idea consolante per cui c’è un disegno dietro ai fatti che accadono
agli umani?
Come ho già detto, ognuno di noi
ha la propria risposta. Personale, singola, individuale. Come il nostro
destino. O la nostra, casuale vita di appartenenti al genere umano….
Insomma, nel complesso un bel libro. Da leggere. Se vi va.
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