Ho iniziato a leggere il testo
della riforma costituzionale a settembre. Non ho molto tempo a disposizione, e
quello che ho mi piace impiegarlo come voglio, per leggere, per camminare, per
andare a correre, per fare un po’ di scrap. Quindi ho iniziato con largo
anticipo, consapevole che avrei dovuto utilizzare qualche ritaglio di tempo
libero per leggere un testo articolato, come ci aspetta da una riforma
costituzionale, che per essere capito davvero deve essere confrontato,
oltretutto, con il testo vigente della nostra Costituzione. L’ho fatto volentieri,
mi è sembrato quasi di tornare indietro di oltre vent’anni, al tempo dell’esame
di Diritto costituzionale, ed è stata l’occasione per rileggere qua e là il
vecchio testo di Alessandro Pizzorusso, e quello di Gustavo Zagrebelsky, oggi
fautore del NO. Bello, insomma. Il minimo che potessi fare, da cittadino, per
votare in modo consapevole sapendo cosa avrei approvato o buttato a mare,
rifiutato o accettato. Ho spulciato il testo cercando di capire se fosse vero
che i costi della politica sarebbero diminuiti, come sostengono i fautori del
SI, o se il popolo sovrano sarebbe stato davvero privato del diritto di
eleggere una delle camere, come affermano i sostenitori del NO ( ho letto anche
la bozza di legge Chiti - Fornaro per la definizione di un meccanismo
elettorale dei componenti dei Consigli regionali, che consentirà – consentirebbe
- agli elettori di esprimersi su futuri componenti del nuovo Senato Riformato,
tanto per capirci di più); ho cercato tra le nuove disposizioni dove potesse
annidarsi il pericolo di quella “deriva autoritaria” di cui si parla, e cosa ci
fosse dietro a ciascuno dei nuovi procedimenti di produzione legislativa che la
riforma propone e prefigura; soprattutto cosa sarebbe cambiato della nostra,
bellissima Costituzione repubblicana dopo la riforma, e se i diritti
fondamentali, non i meccanismi del Titolo V (i soli ad essere toccati dalla proposta
di modifica) sarebbero stati sempre al loro posto, lì, fondamentali,
imprescindibili, dono di uomini di ben altra tempra del nostro non remoto passato,
dopo l’eventuale approvazione della riforma; per un momento infatti ho tenuto
che potesse essere messo in discussione tutto, a sentirne parlare in giro….
Mi sono fatta la mia opinione, e
credo che il mio voto sarà “ragionato”, o per lo meno informato. Un voto sul MERITO, che dirà SI o NO ad un testo che ho letto, ad una riforma che ora so – certo non alla perfezione, non sono mica un costituzionalista! ma quanto basta – cosa intende cambiare e cosa lasciare in piedi. Un voto libero, che non si accoda semplicemente all’orientamento della mia parte politica - che pure seguo e a cui va il mio voto di cittadino, da sempre – ma che quell’orientamento ha prima scandagliato, verificato, per capire se buttando a mare la riforma avrei sprecato un’ occasione unica e forse irripetibile o se, approvandola, avrei cambiato irrimediabilmente una parte insostituibile di un testo fondamentale, il primo, la “valvola di chiusura” della nostra gerarchia delle fonti. Votare, e votare sapendo cosa si vota, è questo il bello della democrazia, della nostra democrazia, qualunque sia la nostra opinione e il nostro modo di pensare. Punto.
E potrebbe bastare. Potrei fermarmi qui e non continuare.
Anzi, forse dovrei proprio smettere di dire, perché quello che mi ha spinto oggi a scrivere – io che sul blog parlo solo di libri e di scrap e come oggi, in un post programmato, di fiori – ha poco o nulla a che vedere con il merito della riforma, e hai voglia di questionare se sia o meno giusta l’abolizione del CNEL o la deflazione della decretazione di urgenza, quando leggi quello che ho letto, quando senti quello che ho sentito…
Succede infatti che vedi in televisione ed ascolti in radio e leggi sui giornali cose dette da personaggi pubblici, cose che senti e che vorresti non aver sentito, o vorresti credere di aver equivocato, di non aver compreso, di avere frainteso…
Sono abituata da tempo ai toni dello scontro politico in casa nostra. So bene che da tempo, qui da noi, e anche altrove, vince chi urla, chi la spara grossa, da una parte e dall’altra, chi si rivolge al proprio avversario politico come al proprio “nemico” e non semplicemente al portatore di una verità “altra”, diversa dalla nostra, ma ugualmente meritevole di ascolto e di rispetto. Il tempo del populismo, qualcuno dice, della tentazione autoritaria, dicono altri.
Non ci sono mammole, né da un lato né dall’altro; non ci sono Heidi sedute sulle poltrone delle nostre istituzioni rappresentative; ci sono persone ora preparate ora profondamente incompetenti, pragmatiche e dogmatiche (sempre che i dogmi ancora esistono), portavoci di un pensiero libero o del più bieco qualunquismo, animate da spirito civico o da interessi personali. Come tutti noi, che quelle persone in fondo rappresentano, dando consistenza alla nostra voce, nel più perfetto dei meccanismi di rappresentanza indiretta, contro qualsiasi assurda pretesa di istituire una “democrazia liquida” che a me fa venire in mente solo un tubo che perde, o un ghiacciolo che si scioglie al sole…
Ma succede che senti parlare di “scrofe ferite” (non di un “animale ferito” che è noto si possa muovere scompostamente, no, proprio di “scrofa”, la femmina del maiale che nell’immaginario collettivo evoca immagini di sporcizia e di turpe promiscuità), di “serial Killer del futuro dei figli”, e allora non può non tornarti in mente il titolo di quello splendido libro di Carlo Levi, “Le parole sono pietre”, e pensi che qualunque sia la tua opinione sul referendum costituzionale, e qualunque sarà il voto che liberamente, democraticamente, e – spero – in modo consapevole ed informato – andrai a dare il 4 dicembre, le parole sono e restano PIETRE.
Che se le scagli fanno male, più di uno schiaffo, più di una spinta, più, a volte, di un colpo in faccia. E non c’entra niente, ed è del tutto inadeguato e privo di significato - prima ancora che maleducato - del tutto insensato – comunque la si pensi – dare della SCROFA alla propria controparte politica, completamente fuori da ogni logica. Almeno fuori della MIA logica, io che penso che, al di là dell’asprezza dei toni – che c’è da entrambe le parti, forse si – non si possa MAI varcare quella sottile linea di confine tra il lecito e l’inaccettabile, tra il colorito e l’offensivo, e che si debba INVECE sempre evitare di parlare della cellulite delle ministre, o dei tailleur del Presidente della Camera. Perchè in fondo, per Dio, si parla di Costituzione (sempre che di questo si parli, naturalmente), e non ci si può arrogare il diritto di difendere la Costituzione che si vorrebbe preservare dalle modifiche della riforma – giuste o sbagliate che siano, ognuno è giusto che la pensi come vuole – se ci si rivolge così al principale rappresentante del fronte politico contrario.
Le parole sono pietre.
Vanno usate per quello che sono, strumenti affilati e taglienti o morbidi e pieni di calore, a seconda dei casi, consapevoli del bene e del male che possono fare. Molto male. A me, cittadina di questo Paese, qualunque sia la mia opinione, che poco conta, e qualunque sia il voto che darò il 4 dicembre.
Sono molto daccordo con te, infatti con tutti gli spropositi che si sentono, sono offensivi di per se e - su un piano più alto - offensivi per la nostra intelligenza, la mia reazione è smettere di ascoltare. Per parte mia, mi permetterò di chiederti l'esito della tua indagine ed approfondimento...
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