La storia narrata da Michel Bussi in “Ninfee nere” si svolge a Giverny, piccolo paese della Normandia, in cui il pittore impressionista Claude Monet dipinse le sue opere più famose, le Ninfee. Dopo la morte di Monet, il paese è diventato un richiamo turistico, meta ogni anno di migliaia di visitatori provenienti da tutto il mondo e di appassionati di arte, desiderosi di ritrovare i luoghi e le atmosfere in cui Monet creò le sue famosissime opere…
Nonostante i turisti, il chiasso e la confusione che inevitabilmente
i visitatori portano con sé, Giverny è però un paese tranquillo, in cui non
succede mai niente… fino a quando, però, il cadavere di un noto medico, Jérôme
Morval, viene ritrovato con il cranio fracassato in un ruscello, proprio quello
fatto costruire tanti anni prima da Monet per alimentare lo stagno in cui
galleggiavano le leggendarie ninfee… Due poliziotti iniziano ad indagare,
Laurenç Sérénac, giovane intraprendente ispettore da poco arrivato alla locale
stazione di polizia, e il suo collaboratore Sylvio Bénavides, acuto conoscitore
del posto e collezionista di barbecue (sic).
Le piste che i due iniziano a
battere sono da subito due, quella del delitto passionale, alimentata dalla
circostanza che la vittima era notoriamente un impenitente dongiovanni, e
quella “artistica”, legata alla passione del medico ucciso per le tele del suo
più famoso concittadino… Questa, in estrema sintesi la trama, un giallo
classico, una indagine poliziesca, in fondo, ben costruita sia pure imperniata
su un fatto di per sé neanche troppo eclatante. Ma la cosa straordinaria,
quella per la quale questo libro merita di sicuro di essere letto, è la sua
costruzione narrativa, il modo in cui l’autore porta avanti la storia,
disseminando nel corso della narrazione pochi, parsimoniosi (avari, direi)
indizi, che portano il lettore a farsi un’idea dei fatti che si rivelerà
sorprendentemente FALSA. La storia è narrata in parte in prima persona, da
un’anziana ottantenne appena diventata vedova, e in parte in terza persona ed
al tempo presente, un tempo che personalmente trovo pochissimo adatto alla
narrazione (in questo sono strenuamente “tradizionale”) ma nell’economia di
questo libro, tutto sommato efficace. Ci vengono quindi rappresentate le
storie, oltre che dei due poliziotti incaricati dell’indagine, anche di una
ragazzina undicenne, Fanette, appassionata di pittura, e della maestra della
scuola elementare di Giverny, Stéphanie Dupain, alle prese con un matrimonio
non proprio felice; le loro storie punteggiano la narrazione, anzi ne fanno
parte in modo fondamentale, creando nel lettore la convinzione che si tratti di
storie parallele che concorrono a formare la trama del libro.
Ma le convinzioni
del lettore sono destinate a ribaltarsi completamente, perché “Ninfee nere” è
in realtà una sorta di labirinto micidiale, di galleria degli specchi, in cui
la verità è una sola ma molte sono le sue diverse facce…insomma, non vorrei
rovinare la sorpresa di chi voglia leggere questo libro singolare e
sorprendente, ma sappiate che lo stratagemma narrativo utilizzato da Bussi è di
quelli stupefacenti, e il bello è che ce se ne accorge solo nelle pagine finali
del libro….Basta non sentirsi presi in giro, ma piacevolmente condotti su un
terreno infido e scivoloso da un narratore straordinario, capace di creare
l’illusione di ciò che non è e di rivelare la verità solo nelle dieci ultime
pagine del libro…
Consigliato.
Nessun commento:
Posta un commento